Amministrazione Separata Beni Civici Santa Rufina

Beni Civici ed Usi Civici

 

Beni civici ed usi civici

Beni civici: patrimonio della collettiva locale
In Italia il patrimonio demaniale (i cosiddetti “beni civici”) ammonta ad alcuni milioni di ettari. Si tratta di una superficie immensa di proprietà collettiva che opportunamente utilizzate potrebbe contribuire a rilanciare l’agricoltura, la riforestazione e lo sviluppo degli ecovillaggi.

La storia dei beni civici: un’istituzione che dall’impero romano si è protratta quasi inalterata lungo tutto il medioevo. Ai cosiddetti servi della gleba erano difatti assegnate porzioni di terreno (in continuità con il patrimonium populi romani) da utilizzare collettivamente per coltivazioni di sussistenza o, più modestamente, per il pascolo, la legna da ardere, la raccolta di prodotti spontanei ecc… La situazione inizia a cambiare nel momento in cui si compiono i primi passi sulla via della modernità, precisamente con la rivoluzione francese e la progettazione di nuovi stati, repubblicani (caso della Francia) o monarchici (caso dell’Italia). Inizia infatti a delinearsi un esplicito tentativo di ricondurre le proprietà collettive (“feudi dei poveri”) nei perigliosi ambiti del mercato. Le popolazioni, tuttavia, contrasteranno molti tentativi concreti di “privatizzazione dei beni civici” e liquidazione degli usi civici minori (legnatico, fungatico e pascolo sulle terre private) ed alterne vicende porteranno, nell’Italia fascista, ad una “scrupolosa” legge di regolamentazione.

Una legge del ‘27

Senza addentrarci troppo in dettagli giuridici, la legge del 16 giugno 1927 n. 1766 (ancora oggi legge-quadro) connota – La liquidazione degli usi civici- su Beni comuni: “i beni civici come un tutto unitario e permanente, sottratto per principio alle vicende del mercato immobiliare ed all’appropriazione individuale” mentre destina i diritti civici minori – cui abbiamo già accennato – “alla conversione in una superficie di terreno di ammontare equivalente al loro valore, da conferire nel patrimonio collettivo”. In questo modo i beni in questione restano di uso esclusivo della comunità titolare e soggetti a divieto di alienazione e di usucapione. Continuano dunque ad essere oggetto di precisi diritti collettivi (dei membri delle comunità che li comprendono nel proprio territorio) che tuttavia, nel momento in cui non vengono segnalati, restano in uno stato di abbandono. In altre parole gli usi civici, come diritti residuati ed ereditati dagli ordinamenti precedenti, per essere goduti debbono -ancora oggi- essere prima riconosciuti. La figura istituzionale preposta al riconoscimento, tramite una sentenza (su richiesta degli interessati ma anche di ufficio), è il Commissario agli Usi Civici. Questi è inoltre incaricato di distinguere tra quelli da liquidare (i diritti civici minori) e quelli da consolidare e di accertare quali sarebbero convenientemente utilizzabili come bosco e pascolo (del tutto inalienabili) e quali per la coltura agraria (in qualche caso, come da articolo 9 della legge del ‘27, “sdemanializzabili” – magari per consentire a qualcuno che vi ha edificato abusivamente di regolarizzarsi). Nel tempo il riconoscimento degli usi civici è stato tutt’altro che sistematico, tanto che a tutt’oggi non si conosce, se non approssimativamente, l’ammontare complessivo della superficie demaniale in Italia (sembra costituisca addirittura un sesto del territorio nazionale).

Il ruolo delle regioni

Con l’attribuzione di compiti amministrativi alle regioni (legge 616 del ’77), gli accertamenti sugli usi civici sono diventati, di fatto, di competenza regionale, passando dall’ambito giurisdizionale a quello amministrativo e rendendo la figura del commissario quasi superflua. Oggi, dunque, le regioni tendono ad accertare autonomamente -malgrado gli accertamenti amministrativi non abbiano, al contrario di quelli commissariali, valore di legge – la presenza o meno del vincolo di uso civico su porzioni del loro territorio. Di conseguenza i “diritti latenti” sui beni civici vengono spesso ignorati, anche in virtù di una generale atomizzazione e noncuranza delle comunità che ne potrebbero godere. In conclusione, porzioni anche consistenti del patrimonio demaniale, in assenza di una “rivendicazione dal basso” e con la neutralizzazione – di fatto – della figura istituzionale che ne dovrebbe curare il riconoscimento giuridico e dunque la legittimazione, finiscono spesse volte per essere venduti dai comuni e dagli enti agrari a privati acquirenti o per essere occupate abusivamente. Per riportare un esempio clamoroso, nel Comune di Ardea, in provincia di Roma, “sono state realizzate abitazioni, strade e piazze – tutte abusive – su quattromila ettari di terreno gravati da uso civico”. I fatti più recenti, del resto, non sembrano invertire la rotta: la Regione Lazio ha appena varato una legge che autorizza i comuni alla vendita e alla liquidazione dei beni civici (anche in caso di terreni boschivi) e nella stessa direzione stanno andando altre regioni.

Alcune proposte

In aperta controtendenza si propone l’istituzione, su base regionale, di una agenzia degli usi civici e dei diritti collettivi, con la possibilità di promuovere degli accertamenti definitivi – un monitoraggio su scala nazionale, propedeutico ad una planimetria catastale – e con lo scopo di garantire agli utenti terre che potrebbero essere valorizzate in vari modi. Considerato, ad esempio, che lo stato italiano ha un deficit strutturale della bilancia dei pagamenti in materia di legname, potrebbe essere intelligente promuovere una nuova forestazione sugli usi civici ed assumere manodopera da stipendiare utilizzando, innanzitutto, la macroscopica percentuale di fondi per il re-impianto forestale che vengono, ogni anno, restituiti a Bruxelles perchè non utilizzati. Allo stesso tempo, porzioni del patrimonio demaniale potrebbero essere date in concessione a cooperative agricole (meglio se a indirizzo biologico) o ecovillaggi, che potrebbero tra l’altro essere incentivati al restauro degli abitati, al recupero dell’ambiente, alla ripopolazione di aree montane e a diventare, più generalmente, “custodi del territorio”.

Come individuare gli usi civici

Non è facile conoscere gli usi civici presenti nel proprio Comune o nella propria regione perché manca un elenco dettagliato. La soluzione migliore è quella di avanzare un’istanza al Commissario agli Usi Civici di competenza per conoscere se determinati terreni rientrano negli usi civici (meglio se si indicano con esattezza i dati catastali). Per conoscere invece gli usi civici presenti in una determinata zona si può andare al Catasto e chiedere l’elenco delle terre che sono di uso civico. Purtroppo a questo livello c’è una grande confusione di termini. In qualche caso si parla di “terreni asserviti al Comune” o “asserviti agli usi della comunità locale”, bisogna avere la consulenza di qualche tecnico in grado di saper leggere il catasto. In alternativa si può andare dal Giudice e chiedere di conoscere le terre civiche presenti in un determinato comune. Se ci sono già degli accertamenti la cosa è relativamente semplice, se non esistono il Giudice è tenuto a farli e questo può richieder molto tempo perché si tratta di fare una ricerca storica, in quanto si tratta di consultare documenti risalenti a centinai di anni fa.

Cosa sono gli usi civici

A proposito del significato di Usi Civici la giurisprudenza afferma:
Usi civici” sono i diritti spettanti a una collettività (e ai suoi componenti), organizzata e insediata su un territorio, il cui contenuto consiste nel trarre utilità dalla terra, dai boschi e dalle acque. Il corpus normativo di riferimento è costituito, principalmente, dalla Legge dello Stato 16/6/1927, n. 1766 e dal relativo Regolamento di attuazione 26/2/1928, n. 332; inoltre, dalle successive norme (nazionali e regionali) in materia di usi civici. La Legge n. 1766 indica due diverse tipologie di diritti che possono fare capo ad una popolazione: i diritti di uso e godimento su terre di proprietà privata; il dominio collettivo su terre proprie. I primi sono soggetti a liquidazione. I secondi che abbiano destinazione silvo-pastorale sono invece destinati ad essere fortemente valorizzati e sono sottoposti alla normativa di tutela dell´ambiente e del paesaggio, mentre quelli a vocazione agraria sono destinati alla privatizzazione. Con il trasferimento delle funzioni amministrative statali alle regioni si è operata la scissione soggettiva tra le competenze tutte originariamente spettanti ai commissari regionali: le attribuzioni amministrative sono transitate alle regioni; ai primi sono residuate dunque unicamente i poteri giurisdizionali in ordine alle controversie sulla esistenza, natura ed estensione dei diritti civici.

Cosa sono gli “usi civici” su terre private?

I diritti collettivi su terre private sono caratterizzati dalla imprescrittibilità (e cioè dalla irrilevanza del non uso) e possono avere per oggetto le diverse utilità offerte dalla terra, quali il diritto di pascolare, di raccogliere legna, di seminare, di giuncare, di cacciare, di raccogliere erbe e ghiande, di pescare. La Legge n. 1766 precisa che sono considerati usi civici i diritti di vendere erbe, stabilire i prezzi dei prodotti, far pagare tasse per il pascolo e altri simili su beni dei privati. Non sono, invece, diritti civici le consuetudini di cacciare, spigolare, raccogliere erbe e simili, le quali, non essendo soggette a liquidazione, rimangono in esercizio finché non diventino incompatibili con la migliore destinazione data dal proprietario al fondo.

Quali/cosa sono le terre d´uso civico?

Rientrano nella categoria le terre assegnate ai comuni o alle frazioni, quali corrispettivi di affrancazioni degli usi civici su terre private, nonché i terreni posseduti da comuni, frazioni, università ed altre associazioni agrarie, comunque denominate (a prescindere dalla loro provenienza), su cui sono esercitati usi civici; a tale elenco vanno aggiunti i beni e le terre acquistati, ai sensi della Legge n. 1766, per aumentare l´estensione delle terre da ripartire e quelli di cui alla Legge 3/12/1971, n. 1102. Le terre d´uso civico sono soggette, in primo luogo, a generale e definitivo riordino, per il tramite di procedure volte a sciogliere le promiscuità, legittimare i possessi abusivi e reintegrare le terre non legittimabili; successivamente, esse vanno assegnate a una delle due categorie indicate dalla Legge n. 1766: terre convenientemente utilizzabili come bosco o come pascolo permanente; terre convenientemente utilizzabili per la cultura agraria. Prima dell´assegnazione a categoria tali terre sono assolutamente inalienabili; dopo lo sono in casi eccezionali (v. art. 12 della Legge n. 1766).

Come si accerta l´esistenza di usi civici?

Il presupposto logico della liquidazione risiede quindi nell´accertamento dell´esistenza, dell´estensione e nella valutazione degli usi stessi. A tale accertamento provvede la Regione sulla base di denuncia di parte, la quale assolve alla funzione dichiarativa di far conoscere gli usi esercitati o che si pretende di esercitare. La dichiarazione è necessaria esclusivamente per gli usi gravanti su terre private e non già invece per le terre comuni gravate, le quali non sono soggette a liquidazione, ma solo eventualmente a quotizzazione (per le terre a destinazione agraria). Circa la prova degli usi civici, vale il principio che in caso di inesistenza della prova documentale è ammesso ogni mezzo di prova, purché l´uso non sia cessato anteriormente al 1800. Una volta accertata l´esistenza degli usi, la legge richiede che essi vengano valutati nell´estensione, ai fini della liquidazione. Questo è quanto ha provveduto a fare la nostra Amministrazione nel maggio 2013.  Un perito demaniale, nominato dalla Regione Lazio, con relazione generale sulla ricognizione ed utilizzazione del demanio civico ha elencato, distinta per fogli catastali, tutta la proprietà civica, distinguendo i terreni ancora in possesso dell’A.S.B.C. e gestiti direttamente dall’Ente, da quelli occupati e condotti da terzi.

Come può avvenire la liquidazione di usi civici su terreni privati?

Come detto, la Legge n. 1766 prevede che i diritti civici su terre private siano liquidati. La liquidazione consiste nella trasformazione della comproprietà tra proprietario e collettività in proprietà per quote, delle quali una viene attribuita alla comunità e l´altra resta al proprietario in dominio libero ed esclusivo. Una volta individuata l´estensione delle quote di proprietà spettanti, rispettivamente, al proprietario e alla collettività, esse vengono loro assegnate in natura ovvero per equivalente tramite un canone di natura enfiteutica a favore della comunità.

Cosa si intende per “diritti utili” e “diritti essenziali”?

A tale proposito, la Legge n. 1766 individua due categorie di usi: i diritti essenziali, che sono quelli il cui personale esercizio sia necessario per i bisogni della vita; i diritti utili, ossia i diritti di servirsi del fondo in modo da ricavarne vantaggi economici, che eccedano quelli che sono necessari al sostentamento personale. Come detto, la liquidazione può avvenire secondo due sistemi: liquidazione con scorporo: tale sistema dovrebbe essere quello ordinario. La Legge n. 1766 stabilisce le modalità da seguire per determinare le quote; liquidazione con canone: la Legge n. 1766 stabilisce, infatti, che sono esentati dalla divisione i terreni che abbiano ricevuto dal proprietario migliorie sostanziali e permanenti e i piccoli appezzamenti non raggruppabili in unità agrarie; in tal caso, i fondi sono gravati da un canone annuo di natura enfiteutica a favore del comune in misura corrispondente al valore dei diritti. La procedura di liquidazione è disciplinata dal Regolamento n. 332 ed è oggi di competenza della Regione. Il perito regionale provvede ad accertare l´esistenza, l´estensione e il valore degli usi civici, in contraddittorio con le parti, e redige il progetto di liquidazione, il quale, approvato con le modifiche eventualmente apportate dalla Regione, viene depositato presso il Comune o l´associazione agraria. Del deposito viene data notizia agli interessati, i quali possono proporre opposizione nel termine di trenta giorni dalla data di notificazione. In mancanza di opposizione, il progetto diviene esecutivo ed è titolo per la liquidazione. L´opposizione sospende la procedura amministrativa di liquidazione e radica in capo al Commissario liquidatore la competenza giurisdizionale a decidere su di essa. Il provvedimento regionale di liquidazione ha natura amministrativa ed è quindi impugnabile davanti al giudice amministrativo. Al contrario, il procedimento innanzi al Commissario liquidatore ha natura giurisdizionale, e le sue decisioni sono reclamabili davanti alla Corte d´Appello di Roma, nel termine di trenta giorni dalla comunicazione, ove riguardino la natura, l´esistenza e l´estensione degli usi; sono invece ricorribili per Cassazione, nei casi in cui si controverta sui criteri e sulla misura della liquidazione.